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Capitolo 16

Un salto nell’oceano

Se tremendi sono il colera e la peste, la febbre gialla, questa epidemia puramente americana, che si verifica negli altri continenti, ma è limitata ai paesi racchiusi fra i tropici e, per lo più, a quelli situati presso l’oceano Atlantico, si è acquistata essa pure una triste fama, che non è inferiore a quella delle altre epidemie che infieriscono in Asia, dilatandosi verso l’Europa. Combattendola efficacemente, talvolta si riesce a domarla, ma non sempre accade così, e tutti gli anni, durante la stagione calda, essa miete un buon numero di vittime fra le popolazioni ispano-americane. Qualche volta distrugge completamente gli abitanti di una città, né vale la fuga a salvare quelli che cercano di sottrarsi al male. È una cosa strana, ma si direbbe che questo male sia portato per i viaggi transoceanici e che se la prenda con gli uomini di mare più che con quelli di terra. Infatti le navi che lasciano i porti dell’America del Sud o di quella Centrale, del Messico specialmente, durante la stagione della febbre gialla portano quasi sempre con loro i germi, i quali non tardano a svilupparsi anche in mare aperto, anche a mille miglia dalla costa infetta. È la morte in casa, o meglio la morte in una prigione, poiché l’equipaggio non ha mezzo alcuno per sfuggire le prime persone attaccate dal male. È costretto a respirare quell’aria mortale, e ad avere sotto gli occhi i moribondi. Se è una nave a vapore, che possiede ordinariamente un medico e una farmacia e che si muove a grande velocità, il male si può combattere e anche vincere, ma se si tratta di una nave a vela, è altra cosa. La febbre continuare à le sue stragi finché non troverà un clima inadatto al suo espandersi o avrà distrutto l’ultimo uomo. Mancando di medici e molto spesso di medicine, imprigionati talvolta sotto le ardenti calme dei tropici e dell’equatore, gli equipaggi non possono lottare e cadono l’un dopo l’altro. Questo doveva essere toccato al veliero messicano abbordato dall’aerostato in pieno Atlantico. La febbre gialla doveva essere scoppiata a bordo, forse quando il brigantino o brick che fosse, si era trovato prigioniero nella zona delle calme del Cancro, e gli uomini che vi sono imbarcati, senza un medico e probabilmente senza medicine, erano morti l’uno dopo l’altro. Poi una tempesta aveva sorpreso la nave e aveva compiuto l’opera di distruzione cominciata dal morbo. Quali conseguenze dovevano derivare dal contatto degli aeronauti con la nave dei morti? Sarebbero sfuggiti immuni, quantunque avessero respirato per un quarto d’ora le esalazioni pestifere di quel carnaio in putrefazione, cariche senza dubbio dei germi della febbre, o il male doveva fare la sua comparsa sul vascello aereo? Ecco quello che si chiedeva con angoscia l’ingegnere, il quale non ignorava la potenza mortale del vomito prieto. “Sarebbe stato meglio che il vento ci avesse trascinati cento miglia più a sud” disse “Erano molti i morti, O’Donnell?” Lo ignoro, non li contai, poiché mi parve che la febbre mi entrasse in corpo e che i miei intestini si rivoltassero, sotto i primi sintomi del terribile vomito, che mi prenda, Mister Kelly? Io non ho paura della morte, ma temo per voi, poiché se scoppiasse in questa scialuppa, nessuno di noi rimarrebbe vivo.” “Provate nulla?” “Nulla fino “Al primo indizio, alla prima nausea, avvertitemi. Prontamente combattuta può essere vinta anche la febbre gialla.”“Non mancherò di farlo, Mister Kelly.” disse O’Donnell, sforzandosi di sorridere.“Procureremo di mantenerci sempre alti” disse l’ingegnere.“Perché?”“Per avere una temperatura più fresca. La febbre non alligna che nei climi caldi e scompare prontamente quando ci si allontana.”Un grido strano rauco echeggiò in quel mentre dietro di loro. “Che cos’hai, Simone?” gli chiese l’ingegnere.“Quale nuovo terrore turba il tuo cervello?”“È proprio pazzo, Mister Kelly” disse O’Donnell.“Ha compreso tutto” disse l’irlandese.“Sì ora lo assale la paura della febbre gialla” rispose l’ingegnere. “Il suo cervello è guasto, e temo che non guarir“Dannato polipo!”“Per centomila merluzzi!” esclamò O’Donnell. “Mi sembra, Mister Kelly, che la nostra situazione cominci a diventare poco allegra. Attorno a noi una calma assoluta che ci tiene inchiodati fra quest’atmosfera infuocata, i palloni che cominciano a perdere le forze, un pazzo che ci dà assai da fare, forse la febbre gialla che ci insidia, e l’acqua che scema a vista d’occhio. Diavolo! Che cosa ci deve toccare di peggio?“È vero, O’Donnell” rispose Kelly sospirando. “La fortuna che prima ci proteggeva ci ha ora abbandonati, ma siamo uomini dotati di una certa dose di energia, e lotteremo fino all’estremo delle nostro forze.”“Quanti giorni rimarremo ancora in aria?”“Coi mezzi di cui disponiamo e che ci rimangono quasi intatti, non avendo gettato finora che cento chilogrammi di zavorra, io calcolo di prolungare la vita del Washington di altri sette o otto giorni.”“È impossibile che in tanto tempo non riusciamo ad attraversare quest’oceano. In dodici ore sole abbiamo percorso circa mille miglia: in sette giorni, procedendo anche lentamente, possiamo ben varcare la distanza che ci separa dalle coste africane.”“Ma le calme dei Tropici durano talvolta delle settimane.”“Diavolo!”“E un altro pericolo ci minaccia: la mancanza d’acqua. Durante la giornata di ieri la nostra provvista è scemata di altri venticinque o trenta litri.”“Che salasso! E non si vede una nube! Il barometro segna qualche prossimo cambiamento di tempo?”“No, O’Donnell; indica calma perfetta.”“Confidiamo in Dio e nel nostro coraggio.” L’irlandese dopo queste parole si sdraiò presso Simone e s’immerse in profondi pensieri, mentre l’ingegnere si sedeva a prua della scialuppa con gli sguardi volti verso l’est.Il Washington che era risalito di duemila metri, s’avanzava lentamente verso oriente, trasportato da un filo d’aria che soffiava irregolarmente. Era molto se riusciva a percorrere sette otto miglia all’ora. L'Atlantico era sempre deserto. Non si scorgeva che la nave dei morti, la cui massa nera spiccava nettamente sulla tinta azzurra dell’acqua. Perfino i fetonti, gli uccelli del Tropico, erano scomparsi, e non si udivano più le loro grida, che rallegravano l’animo degli aeronauti. In quella sterminata distesa d’acqua e nelle profondità incommensurabili della volta celeste regnava un silenzio assoluto, un silenzio di tomba, che impressionava l’irlandese e l’ingegnere, accrescendo la loro tristezza.A mezzodì il termometro segnava 39° di calore; all’una toccò i 40° e alle due i 43°. L’aria era diventata tanto ardente, che agli aeronauti sembrava di respirare quella che esce da un gigantesco forno appena viene aperto. Quale salasso doveva fare quel calore intenso nella loro provvista d’acqua, che era già tanto scarsa! Alle tre il pallone cominciò a discendere lentamente. Fu una vera fortuna però, poiché a milleottocento metri incontrò una corrente d’aria più fresca, la quale lo trascinò verso l’est con la velocità di dodici o tredici miglia all’ora. Un’ora dopo, i due aeronauti, che si erano messi in osservazione sul dinanzi della scialuppa, scorsero una leggera nube che si estendeva verso l’est, a circa tre chilometri dal Washington e che pareva si dirigesse verso il sud.Se si potesse entrare fra quella nebbia, si troverebbe un po’ di frescura?” chiese l’irlandese.“Ne dubito, O’Donnell,” rispose l’ingegnere. E poi siamo più alti di almeno quattrocento metri.”“Che quella nube indichi un cambiamento di tempo?”“Forse, ma quel cambiamento può essere molto lontano.”Alle cinque il Washington che faceva sempre le sue dieci miglia all’ora, si librava su quelle nebbie. Esse formavano dei grandi cumuli, sospesi a varie altezze e separati gli uni dagli altri da spazi considerevoli.I due aeronauti, quando si trovarono sopra a quei banchi, assistettero a un fenomeno sorprendente. L’ombra dei due immensi fusi, proiettata su quelle nebbie apparve circondata da un’aureola coi sette colori dell’iride, la quale cambiava, ad ogni istante, dimensione e forma. Ora si allargava immensamente, avvolgendo l’ombra intera dei due grandi fusi, che pareva immersa in un cerchio di luce dagli splendidi colori; ora rimpiccioliva e impallidiva; poi si rompeva, si ricostituiva e cingeva solamente l’ombra dell’uno o dell’altro fuso o della sola navicella.Alle otto, nel momento in cui il sole precipitava sotto l’orizzonte, l’aerostato entrò in una nuova corrente d’aria, che scendeva dal nord. La temperatura si abbassò bruscamente, come se quella corrente fosse prima passata sopra una regione assai fredda. In dieci soli minuti il termometro, caso veramente strano, si abbassò di 24°! L’idrogeno si condensò rapidamente, e il Washington non discese, precipitò, come se volesse cadere nell’oceano. Si arrestava alcuni minuti, poi scendeva di colpo di tre o quattrocento metri, poi tornava ad arrestarsi, indi ricadeva di altrettanti.O’Donnell aveva preparato un sacco di zavorra per fermarlo a tempo, ma non ne ebbe bisogno, poiché l’aerostato, giunto a duecento metri dalla superfìcie dell’oceano, riprese il suo equilibrio.“Si respira!” esclamò O’Donnell. “Era tempo che questo calore d’inferno si mitigasse. Se fosse continuato ancora tre giorni, ci avrebbe disseccati. Ma a che cosa si deve questo brusco abbassamento di temperatura?”“Forse a qualche grande uragano che si è scatenato nelle regioni settentrionali.” rispose l’ingegnere. “Non durerà molto, O’Donnell e domani tornerà a fare caldo.” “Lo credete?”“Sì, questa corrente non tarderà a scaldarsi sotto questi climi ardenti”“Che il pallone scenda ancora? ““Non lo credo; tuttavia veglieremo a turni.” Cenarono con un po’ di carne conservata e una scatola di tonno, misurandosi l’acqua. Poi O’Donnell si sdraiò presso Simone, che continuava a russare, mentre l’ingegnere vegliava, seduto sul suo materasso, che si trovava a prua.Durante quel primo quarto d’ora di guardia non accadde nulla. Solamente il pallone, il cui idrogeno continuava a condensarsi perché la corrente d'aria restava sempre fredda, discese ancora di oltre cento metri.A mezzanotte O’Donnell rilevò l'ingegnere. Diede uno sguardo intorno, un altro all’oceano, che brontolava a soli trenta metri di distanza, poi si sedette a prua, fumando una sigaretta.Erano già trascorse le due ore, e cominciava a socchiudere gli occhi invitato dal leggero dondolamento dell'aerostato, quando tutto ad un tratto la navicella subì una scossa violenta. “Simone!” esclamò “Che cosa fai?”Il pazzo emise un grido rauco: “II mostro!... il mostro!” esclamò con voce strozzata.L’irlandese si avventò su di lui, ma era troppo tardi. Il povero pazzo preso chissà da quale terrore, fece atto di fuggire e mise i piedi nel vuoto.O’Donnell emise un grido: “Mister Kelly!”Poi mentre il pallone, scaricato del peso di Simone, s’innalzava, egli, senza badare al pericolo che stava per affrontare, si precipitò nell'oceano dietro al pazzo.L’ingegnere, svegliato di soprassalto, udì due gridi e due tonfi, poi più nulla. L’aerostato, bruscamente alleggerito di quei due corpi, che pesavano centoquaranta chilogrammi, trascinava Kelly con rapidità vertiginosa attraverso le alte regioni dell'atmosfera!

 

 Chapitre 16

Un saut dans l'océan

Si le choléra et la peste sont terribles, la fièvre jaune, cette épidémie purement américaine, qui se manifeste sur d'autres continents, mais se limite aux pays enfermés entre les tropiques et, pour la plupart, à ceux qui sont situés près de l'océan Atlantique, a acquis, elle aussi, une triste renommée, non inférieure à celle des autres épidémies qui sévissent en Asie, en se propageant vers l'Europe. Si elle est combattue efficacement, elle peut parfois être apprivoisée, mais ce n'est pas toujours le cas, et chaque année, pendant la saison chaude, elle fait un bon nombre de victimes parmi les populations hispano-américaines.
Parfois, il détruit complètement les habitants d'une ville, et ne sauve pas non plus ceux qui tentent d'échapper au mal. C'est étrange, mais on pourrait dire que ce mal est enclin aux voyages transocéaniques et qu'il s'en prend davantage aux marins qu'aux terriens. En effet, les navires qui quittent les ports de l'Amérique du Sud ou centrale, du Mexique en particulier, pendant la saison de la fièvre jaune, apportent presque toujours avec eux les germes, qui ne tardent pas à se développer même en pleine mer, même à mille milles de la côte infectée. C'est la mort chez soi, ou plutôt la mort dans une prison, car l'équipage n'a aucun moyen d'échapper aux premières personnes attaquées par la maladie.
Il est obligé de respirer cet air mortel, et d'avoir la mort sous les yeux. S'il s'agit d'un navire à vapeur, qui dispose habituellement d'un médecin et d'une pharmacie et se déplace à grande vitesse, le mal peut être combattu et même vaincu, mais s'il s'agit d'un voilier, c'est une autre affaire. La fièvre continuera ses ravages jusqu'à ce qu'elle trouve un climat inadapté à son expansion ou qu'elle ait détruit le dernier homme. Faute de médecins et très souvent de médicaments, parfois emprisonnés sous les calmes ardents des tropiques et de l'équateur, les équipages ne peuvent se battre et tombent les uns après les autres. Cela a dû être le cas pour le voilier mexicain abordé par le ballon au milieu de l'Atlantique.
La fièvre jaune a dû se déclarer à bord, peut-être lorsque le brick, ou le brick qu'il était, s'était retrouvé captif dans les calmes du Cancer, et les hommes à bord, sans médecin et probablement sans médicaments, étaient morts les uns après les autres. Puis une tempête avait surpris le navire et achevé le travail de destruction commencé par la maladie. Quelles conséquences devaient résulter du contact des aéronautes avec le vaisseau des morts ? Auraient-ils échappé à l'immunité, même s'ils avaient respiré pendant un quart d'heure les exhalaisons pestilentielles de cette charogne en décomposition, sans doute chargée de germes de fièvre, ou bien la maladie devait-elle faire son apparition sur le vaisseau aérien ?
C'est ce que s'est demandé avec angoisse l'ingénieur, qui n'ignorait pas le pouvoir mortel du vomi de prieto. "Il aurait mieux valu que le vent nous entraîne cent miles plus au sud", dit-il. "Y a-t-il eu beaucoup de morts, O'Donnell ?" Je l'ignorais, je ne les comptais pas, car il me semblait que la fièvre entrait dans mon corps et que mes intestins se révoltaient, sous les premiers symptômes du terrible vomissement, vous me prenez, M. Kelly ? Je ne crains pas la mort, mais j'ai peur pour vous, car si vous faites irruption dans ce canot de sauvetage, aucun de nous ne resterait en vie." "Vous sentez quelque chose ?" "Rien" "Au premier indice, à la première nausée, prévenez-moi.
Même la fièvre jaune peut être vaincue." "Je ne manquerai pas de le faire, M. Kelly." dit O'Donnell, en faisant un effort pour sourire. "Nous essaierons de rester en hauteur à tout moment", dit l'ingénieur. "Pourquoi ?" "Pour avoir une température plus fraîche. La fièvre ne survient que dans les climats chauds et disparaît rapidement quand on s'éloigne. " Un étrange cri rauque résonna derrière eux. "Qu'est-ce qui vous arrive, Simone ?" lui demande l'ingénieur. "Quelle nouvelle terreur trouble votre cerveau ?" "Il est complètement fou, M. Kelly", dit O'Donnell. "Il a tout compris", dit l'Irlandais. "Oui, maintenant la peur de la fièvre jaune l'assaille", répond l'ingénieur. "Son cerveau est brisé, et je crains qu'il ne s'en remette pas. "Maudite pieuvre !" "Pour cent mille morues !" s'exclame O'Donnell.
"Il me semble, M. Kelly, que notre situation commence à devenir peu réjouissante. Autour de nous, il y a un calme absolu qui nous tient en haleine entre cette atmosphère enflammée, les ballons qui commencent à perdre leur force, un fou qui nous donne du fil à retordre, peut-être la fièvre jaune qui nous mine, et l'eau qui diminue de minute en minute. L'enfer ! Quel est le pire qui puisse nous arriver ? "C'est vrai, O'Donnell," répondit Kelly avec un soupir. "La chance qui nous protégeait nous a maintenant abandonnés, mais nous sommes des hommes dotés d'une certaine énergie, et nous nous battrons jusqu'au bout de nos forces." "Combien de jours encore resterons-nous dans les airs ?" "Avec les moyens dont nous disposons et qui restent presque intacts, n'ayant jusqu'à présent jeté qu'une centaine de kilogrammes de lest, je calcule prolonger la vie du Washington de sept ou huit jours encore." "Il est impossible que dans si longtemps nous ne puissions pas traverser cet océan.
En douze heures seulement, nous avons parcouru environ mille milles : en sept jours, même si nous avançons lentement, nous pouvons bien franchir la distance qui nous sépare de la côte africaine." "Mais les calmes des tropiques durent parfois des semaines." "Enfer !" "Et un autre danger nous menace : le manque d'eau. Dans la journée d'hier, notre approvisionnement a encore baissé de vingt-cinq ou trente litres." "Quel gouffre ! Et pas un nuage en vue ! Le baromètre indique-t-il un changement de temps à venir ?" "Non, O'Donnell, il indique un calme parfait." "Nous avons confiance en Dieu et en notre courage." Après ces mots, l'Irlandais s'allongea à côté de Simon et se plongea dans de profondes réflexions, tandis que l'ingénieur était assis à l'avant du canot de sauvetage, les yeux tournés vers l'est. Le Washington, qui s'était élevé de deux mille mètres, avançait lentement vers l'est, porté par un filet d'air qui soufflait de façon erratique. C'était beaucoup si ça pouvait aller jusqu'à 10 ou 12 km par heure. L'Atlantique était toujours désert. On ne voyait rien d'autre que le navire des morts, dont la masse noire se détachait nettement sur la teinte bleue de l'eau.
Même les phaétons, les oiseaux des tropiques, avaient disparu, et leurs cris, qui égayaient l'âme des aéronautes, ne se faisaient plus entendre. Dans cette immense étendue d'eau et dans les profondeurs incommensurables de la voûte céleste régnait un silence absolu, un silence de tombeau, qui impressionnait l'Irlandais et l'ingénieur et augmentait leur tristesse. À midi, le thermomètre indiquait 39° ; à une heure, il atteignait 40° et à deux heures 43°. L'air était devenu si brûlant que les aéronautes avaient l'impression de respirer l'air sortant d'un four géant dès qu'il était ouvert. Quelle ponction cette chaleur intense a dû avoir sur leur approvisionnement en eau, qui était déjà si rare ! A trois heures, le ballon a commencé à descendre lentement. Mais il a eu beaucoup de chance, car à mille huit cents mètres, il a rencontré un courant d'air plus frais, qui l'a emporté vers l'est à une vitesse de douze ou treize miles par heure. Une heure plus tard, les deux aéronautes, qui observaient l'avant du canot de sauvetage, aperçoivent un léger nuage qui s'étend vers l'est, à environ trois kilomètres du Washington, et qui semble se diriger vers le sud. Si l'on pouvait pénétrer à travers ce brouillard, trouverait-on un peu de fraîcheur ?" demande l'Irlandais.
"J'en doute, O'Donnell", a répondu l'ingénieur. "De plus, nous sommes au moins quatre cents pieds plus haut." "Ce nuage indique-t-il un changement de temps ?" "Peut-être, mais ce changement peut être très éloigné." "A cinq heures, le Washington, qui faisait toujours sa course de dix miles à l'heure, a plané au-dessus de ces brumes. Les deux aéronautes, lorsqu'ils se trouvèrent au-dessus de ces bancs, furent témoins d'un phénomène surprenant. L'ombre des deux immenses fuseaux, projetée sur ces brumes, apparaissait entourée d'un halo des sept couleurs de l'iris, qui changeait de taille et de forme à chaque instant. Tantôt elle s'élargissait immensément, enveloppant toute l'ombre des deux grands fuseaux, qui semblaient plongés dans un cercle de lumière aux couleurs splendides ; tantôt elle se rétrécissait et pâlissait ; puis elle se brisait, se reconstituait et n'entourait plus que l'ombre de l'un ou l'autre des fuseaux ou du navire seul.
A huit heures, au moment où le soleil plongeait sous l'horizon, l'aérostat est entré dans un nouveau courant d'air, descendant du nord. La température a brusquement chuté, comme si ce courant était d'abord passé au-dessus d'une région très froide. En seulement dix minutes, le thermomètre, un cas très étrange, a chuté de 24° ! L'hydrogène s'est condensé rapidement, et le Washington n'est pas descendu, il a plongé, comme s'il voulait tomber dans l'océan. O'Donnell avait préparé un sac de lest pour l'arrêter à temps, mais il n'en a pas eu besoin, car le ballon est arrivé à deux cents mètres de la surface de l'océan et a retrouvé son équilibre.
"Il respire !" s'exclame O'Donnell. "Il était temps que cette chaleur de l'enfer se calme. Si ça avait continué trois jours de plus, ça nous aurait desséchés. Mais à quoi est due cette brusque chute de température ?" "Peut-être à un grand ouragan qui a éclaté dans les régions du nord", répondit l'ingénieur. "Ça ne durera pas longtemps, O'Donnell, et il fera à nouveau chaud demain." "Tu crois ?" "Oui, ce courant ne tardera pas à se réchauffer sous ces climats brûlants." "Le ballon va-t-il redescendre ? ""Je ne le crois pas ; néanmoins, nous nous relaierons."" Ils ont dîné avec quelques conserves de viande et une boîte de thon, en dosant leur eau. Puis O'Donnell s'est allongé à côté de Simone, qui ronflait toujours, tandis que le mécanicien faisait le guet, assis sur son matelas, qui se trouvait à l'avant.
Rien ne s'est passé pendant ce premier quart d'heure de garde. Seul le ballon, dont l'hydrogène continue à se condenser car le courant d'air reste froid, descend encore d'une centaine de mètres. A minuit, O'Donnell prend la relève de l'ingénieur. Il jette un coup d'œil autour de lui, un autre sur l'océan qui gronde à trente mètres de là, puis s'assoit sur la proue en fumant une cigarette. Deux heures se sont déjà écoulées, et il commence à loucher sur le doux balancement de l'aérostat, quand tout à coup, le vaisseau spatial subit une violente secousse. "Simone !" s'exclame-t-il, "Que fais-tu ?" Le fou laisse échapper un cri rauque : "Le monstre !... le monstre !" s'exclame-t-il d'une voix étranglée. Puis, alors que le ballon, soulagé du poids de Simone, s'élevait, O'Donnell, sans se soucier du danger qu'il allait courir, se précipita dans l'océan à la poursuite du fou. L'aérostat, brusquement délesté de ces deux corps pesant cent quarante kilogrammes, traînait Kelly avec une vitesse vertigineuse dans les hautes régions de l'atmosphère !



 

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