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Capitolo 11

Il transatlantico

Il disgraziato agitava pazzamente le braccia e le gambe, emetteva grida strozzate, e di quando in quando agli orecchi dei due aeronauti giungevano degli scoppi di risa.
Non era una cosa facile tirarlo su, assieme ai trecentocinquanta metri di fune, che da soli formavano un considerevole peso: però, riposando di quando in quando, dopo una buona mezz’ora riuscirono nella faticosa impresa.
O’Donnell fu pronto ad afferrare Simone ed a trarlo nella navicella, malgrado si dibattesse come un forsennato.
Appena gettò uno sguardo su quel disgraziato delirante, un grido di dolore gli sfuggì dalle labbra. “Guardate gli effetti della paura, Mister Kelly” disse l’irlandese.
“Povero Simone! esclamò. Chissà quale terribile impressione gli ha prodotto quel malaugurato cefalopodo!”
“E non ritorneranno più neri i suoi capelli?”
“No.”
“E un caso stranissimo.”
“Ma non raro: rammento che Maria Antonietta, la disgraziata regina di Francia, divenne anch’essa canuta in una sola notte.”
'“Ma.... guardate che occhi ha questo ragazzo! Si direbbe che è impazzito!”
“Dio non lo voglia, O’Donnell. Sarebbe una disgrazia terribile che presto o tardi potrebbe causarci dei gravi imbarazzi, nella situazione in cui ci troviamo. Proviamo a dargli un calmante forse il suo accesso, dopo una dormita, passerà.”
Simone, appena giunto nella navicella, era caduto fra le braccia dell’irlandese, come se le forze gli fossero improvvisamente mancate. Dalle sue labbra però uscivano grida rauche, le sue membra tremavano, i suoi occhi manifestavano sempre un vivo terrore e di quando in quando mandavano strani lampi.
L’ingegnere gli aprì a forza i denti e gli versò in gola un calmante, mescolato ad una dose d’oppio. Allora, a poco a poco, le grida cessarono, il tremito divenne meno forte; poi chiuse gli occhi e cadde in un profondo sonno.
Fu disteso su un materasso, e per maggior precauzione i due gli imprigionarono le gambe, temendo che, in accesso di delirio, si precipitasse nell’oceano, e lo portarono a prua, per averlo sempre sotto gli occhi.
“Speriamo che si risvegli calmo” disse l'ingegnere. “Issiamo l’altro cono, O’Donnell: l’idrogeno si dilata e, se non ci innalziamo, sfuggirà per la valvola di sicurezza.”
In pochi minuti quella manovra fu eseguita, e l’aerostato, libero di quel peso, s’innalzò lentamente fino a quattrocento metri verso sud-est con una velocità di quindici miglia all’ora.
“Scendiamo ancora verso i climi caldi?” chiese O’Donnell
“Purtroppo” rispose l’ingegnere.
“Vedo però delle nubi. Che portino un cambiamento nella corrente?”
“È possibile. O’Donnell. Un uragano, lo desidererei ardentemente.”
“E non correremo pericolo?”
“Quale?”
“Un fulmine potrebbe colpirci e farci scoppiare i palloni.”
“Si evita.”
“In quale modo? Avete piantato dei parafulmini sui vostri aerostati?”
“No, ma basta innalzarsi sopra le nubi: operazione che sarebbe facilissima, con la zavorra che possediamo, ma che non è necessaria, potendo i nostri palloni in breve salire ad una grande altezza. Le nubi non si radunano che di rado oltre i mille o millecinquecento metri.”
“Allora noi assisteremmo ad una pioggia venuta dall’alto.”
“Con accompagnamento, di lampi, tuoni e scariche elettriche, ma per noi inoffensive.”
“Non mi spiacerebbe assistere ad un simile spettacolo. Accenna ad un cambiamento il barometro?”
“Fin da ieri sera, O’Donnell. Ma ritornando al mostro che per poco non ci trascinava nell’oceano, avete osservato che la nostra àncora è stata schiacciata?”
“Dal polipo gigante?”
“Senza dubbio. Doveva avere delle dimensioni enormi.”
“Doveva pesare almeno duemila chilogrammi, Mister Kelly. Io non ho mai veduto un mostro simile, né più brutto di quello. Se aveste veduto che occhi! Io credetti di venire affascinato e di cadere nella sua bocca. Che avesse scambiato la nostra àncora per qualche pesce?”
“È probabile”.
“Sono comuni quei cefalopodi?”
“Sono anzi molto rari e s’incontrano difficilmente. Si è messa in dubbio per lungo tempo la loro esistenza: ma gli scienziati hanno dovuto arrendersi, dopo che la nave a vapore Alecto ne incontrò uno mostruoso presso le Canarie, impadronendosi di un tentacolo, che si conserva ancora, credo, a Santa Croce di Teneriffa.”
“In un'opera di Sonini ho letto che taluni hanno delle dimensioni tali da abbracciare un vascello. Che sia vero?”
“Io ne dubito assai, O’Donnell, quantunque le leggende nordiche parlino di mostri immensi. Olaus Magnus, vescovo di Upsala, pretende d’aver veduto, nel XVI secolo, un mostro così enorme che era lungo un miglio e che somigliava più ad un’isola che a un pesce: un altro prelato scandinavo scrisse pure di aver scambiato un altro mostro per una roccia e di avervi innalzato sopra un altare, celebrandovi la messa, senza che quell’enorme polipo, o cetaceo che fosse, si tuffasse. Pontoppidan pretende che uno di questi mostri avesse tali dimensioni da farvi manovrare sopra nientemeno che un reggimento di cavalleria!”
“Diavolo! Era una piazza d’armi?”
“Gli scienziati hanno negato l’esistenza di quei colossali kraken : così li chiamavano i polipi nordici. Plinio, lo storico e naturalista romano, fa menzione di un mostro pescato sulle coste di Spagna ai suoi tempi e che pesava trecentocinquanta chilogrammi, con delle braccia lunghe dieci metri e la testa grossa come un barile; mentre quello che ho veduto dall’equipaggio dell’Alecto nel 1801 aveva il corpo lungo dai cinque ai sei metri e un peso di circa duemila chilogrammi.”
“Molti altri se ne sono veduti, ma di dimensioni più piccole. Nelle isole dell’Oceano Pacifico, specialmente alle Hawai, se ne pescano moltissimi che hanno il corpo lungo due metri.”
“Quello che si è aggrappato alla nostra àncora avrebbe potuto trascinarci sott’acqua?”
“Se aveva un peso di duemila chilogrammi, poteva farci scendere. Fortunatamente possediamo delle scuri, e avremmo tagliato senza fatica la fune, abbandonando l’ancora. Tò! Un vascello! Guardate là verso il nord.”
L'irlandese guardò nella direzione indicata, e là dove l'oceano pareva confondersi con l’orizzonte vide un grosso punto nero, sormontato da due pennacchi di fumo. Pareva che si dirigesse verso l’ovest.
“Sarà un transatlantico europeo che va in America” disse l’ingegnere.
“Che si diriga verso di noi?”
“È probabile. L’incontro d'un aerostato in pieno oceano è una cosa che non si è mai veduta, e l’equipaggio ci crederà forse dei disgraziati spinti qui contro la nostra volontà.”
“Mi pare, che abbia modificato la rotta, Mister Kelly” disse l’irlandese, che aveva preso un cannocchiale, puntandolo sullo steamer. “Non mi spiacerebbe andare a bere un bicchiere di Bordeaux su quel legno.”
“Disgraziatamente non possiamo discendere, O’Donnell” disse l’ingegnere. “Bisognerebbe aprire le valvole e lasciare sfuggire una certa quantità di gas; e questo è troppo prezioso per noi.”
Il transatlantico, che doveva aver scorto il vascello aereo, il quale si librava in un’atmosfera purissima, aveva modificato subito la sua rotta e si dirigeva verso gli aeronauti per portare a loro soccorso. Senza dubbio il suo equipaggio credeva che fossero stati spinti sull’oceano da qualche uragano, e accorreva per raccoglierli.
“Approfitteremo per dare notizie ai nostri amici d’America” disse l’ingegnere, strappando alcuni foglietti dal suo libricino e coprendolo di una calligrafia fitta.
Lo steamer ingrandiva a vista d’occhio. Era uno di quei superbi transatlantici che dalle coste dell’Europa si recano in America e viceversa, compiendo il viaggio in una dozzina di giorni e anche meno.
Misurava quasi cento metri, portava quattro alberi e due ciminiere, le quali vomitavano torrenti di fumo misto a scorie. Il ponte era pieno di passeggeri, i quali seguivano ansiosamente la rotta dell’aerostato. Le loro grida, data la calma che regnava sull’oceano, giungevano distintamente agli orecchi degli aeronauti.
In capo a mezz’ora lo steamer che filava verso l’ovest, fu quasi sotto al Washington trecento voci s’alzarono, gridando: “Scendete! Scendete!”
L’ingegnere si curvò sulla prua della navicella, agitando la bandiera degli Stati dell’Unione e gridando:
“Buon viaggio! Andiamo in Europa!”
Lo sentirono. Un “hurrah” immenso s’alzò dal transatlantico, e quei trecento passeggeri si misero a sventolare i fazzoletti, mentre il capitano faceva ammainare tre volte la bandiera in segno di saluto.
“Desiderate qualche soccorso?” chiese il comandante, imboccando il portavoce.
“Grazie, signore” rispose l’ingegnere: “abbiamo il necessario. Vi prego solo d’incaricarvi della mia posta.”
Aveva avvolto le lettere in un astuccio di tela e le aveva poi richiuse in una scatola di latta. Gettò il pacco, che cadde in mare a venti braccia dallo steamer.
Una scialuppa fu calata dalla gru di babordo assieme a due marinai, i quali s’impadronirono della scatola, ritornando a bordo.
“Buon viaggio!” gridarono i passeggeri affollati sulla tolda.
“Grazie, signori” rispose l’ingegnere, vivamente commosso.
Poi, mentre un nuovo e più formidabile “hurrah” salutava gli intrepidi, il transatlantico riprese la rotta, filando verso l’ovest. Per alcuni minuti si videro i passeggeri sventolare entusiasticamente i loro fazzoletti e si udirono le loro grida, poi, avendo l’aerostato ripreso la sua marcia ascensionale a causa della dilatazione dell’idrogeno, lo steamer impicciolì rapidamente, e tutte quelle voci si cambiarono in un lontano sussurrio.
“Dove andrà quello steamer?” chiese O’Donnell che non era meno commosso dell’ingegnere.
“A Boston, è probabile” rispose Kelly. “Almeno lo suppongo dalla sua direzione o dal nostro incrocio in queste latitudini.”
“Vi confesso, Mister Kelly, che ho provato una forte emozione in questo incontro. Mi è parso d’aver trovato un lembo dell’America o dell’Europa.”
“Vi credo, O’Donnell”
Intanto l’aerostato continuava a salire, riscaldandosi l’aria: superò dapprima i mille metri, poi i duemila: ma giunto ai duemila cinquanta si arrestò.
L’ingegnere che pareva in preda ad una certa agitazione e che non staccava gli occhi dal barometro, corrugò più volte la fronte e represse un sospiro. La forza ascensionale del Washington cominciava a diminuire e non raggiungeva più la grande elevazione di prima.
Il gas sfuggiva attraverso i pori della seta quantunque questa fosse stata tessuta con la massima cura. Se la grande corrente si fosse mantenuta stabile come il primo giorno, spingendoli verso l’Europa, l’ingegnere non si sarebbe inquietato, possedendo ancora quattrocento metri cubi d’idrogeno immagazzinato nei cilindri e circa settecento chilogrammi di zavorra da gettare; ma ora che l’aerostato veniva trascinato verso l’equatore, per esser poi forse respinto verso le coste americane dagli alisei, o verso l’Atlantico meridionale, la cosa era diversa, e quella grande traversata cominciava a diventare assai problematica.
Tuttavia non disperò, e nulla disse per non impressionare il suo compagno. Confidava sempre sui grandi mezzi che aveva ancora disponibili.
L’aerostato, dopo aver raggiunto i 2500 metri, si mise a filare verso sud-est con maggior velocità di prima, avendo incontrato una corrente più fresca. Ora si avanzava a 700 metri per minuto primo, avvicinandosi sempre più al tropico del Cancro.
L’oceano, dopo la scomparsa del transatlantico, era ridivenuto deserto. Perfino gli uccelli marini erano scomparsi. Però di quando in quando si vedeva apparire a fior d’acqua qualche pesce-cane, e si vide anche un pesce martello di dimensioni ragguardevoli.
Essendo il sole assai ardente, O’Donnell tese sopra il battello una tenda, per riparare anche il negro, il quale continuava a dormire profondamente.
A mezzodì l’ingegnere fece il punto e constatò che l’aerostato si trovava a 36° 7’ di lat. nord e a 32° 5’ di long. ovest.
“Dove ci troviamo?” chiese O’Donnell.
“Sui paralleli della Virginia,” rispose Kelly.
“Tanto siamo discesi?”
“Purtroppo.”
“A quale distanza dalle coste americane?”
“A 1250 miglia, in linea retta: ma dovete tener conto della curva rientrante che il continente descrive dal Capo della Nuova Scozia al Capo Hatteras.”
“E dall’Isola Brettone!''
“In linea retta distano 800 miglia.
“Abbiamo percorso un bel tratto. Mister Kelly, in poco più di due giorni.”
“Non dico di no. O’Donnell. Disgraziatamente, questa marcia così rapida non ci ha avvicinati all'Europa, anzi ci ha allontanati”
“Se l’aerostato seguisse il nostro parallelo senza deviare, dove andrebbe a terminare?”
“Nei pressi dello stretto di Gibilterra.”
“Entrerebbe allora nel Mediterraneo?”
“Sì: ma invece il vento continua a spingerci verso il sud-est e ci porterà quindi sulle coste dell’Africa.
“Ebbene, cadremo in Africa invece che in Europa. L’Atlantico l’avremo ugualmente attraversato.”
“È vero: ma possiamo cadere su di una costa deserta o in mezzo a qualche tribù di selvaggi.”
“Bella occasione per farci credere figli del cielo e farci nominare sceicchi di qualche grande tribù.”
“Zitto!”
“Che succede?”
“Simone si sveglia.”

 

 Chapitre 11

Le transatlantique

Le malheureux agitait follement les bras et les jambes, poussait des cris étranglés, et de temps en temps un éclat de rire parvenait aux oreilles des deux aéronautes.
Il ne fut pas facile de le remonter, avec les trois cent cinquante mètres de corde, qui à eux seuls formaient un poids considérable : cependant, se reposant de temps en temps, après une bonne demi-heure, ils réussirent la fatigante entreprise.
O'Donnell n'a pas tardé à attraper Simone et à le tirer dans la nacelle, malgré le fait qu'il se débattait comme un fou.
Alors qu'il regardait le misérable délirant, un cri de douleur s'échappa de ses lèvres. "Regardez les effets de la peur, monsieur Kelly", a déclaré l'Irlandais.
« Pauvre Simon ! il s'est excalmé. Qui sait quelle terrible impression lui fit ce malheureux céphalopode !
"Et ses cheveux ne redeviendront-ils plus jamais noirs ?"
"Non."
"C'est un cas très étrange."
"Mais pas rare: je me souviens que Marie-Antoinette, la malheureuse reine de France, est également devenue blanche en une seule nuit."
« Mais... regardez les yeux de ce garçon ! On dirait qu'il est devenu fou !"
« Dieu m'en garde, O'Donnell. Ce serait un malheur terrible qui tôt ou tard pourrait nous causer de sérieux embarras, dans la situation où nous nous trouvons. Essayons de lui donner un sédatif, peut-être que son accès passera après une sieste."
Simone, dès son arrivée dans le vaisseau spatial, était tombée dans les bras de l'Irlandais, comme si ses forces lui avaient soudainement fait défaut. Mais des cris rauques sortaient de ses lèvres, ses membres tremblaient, ses yeux manifestaient toujours une terreur vive et de temps en temps ils brillaient étrangement.
L'ingénieur écarta les dents et lui versa dans la gorge un sédatif mélangé à une dose d'opium. Puis, peu à peu, les cris cessèrent, les tremblements devinrent moins forts ; puis il ferma les yeux et tomba dans un profond sommeil.
On l'étendit sur un matelas, et par plus grande précaution les deux lui emprisonnèrent les jambes, craignant que, pris d'un délire, il ne se précipitât dans l'océan, et ils le portèrent à la proue, pour l'avoir toujours sous les yeux. .
Simone, dès son arrivée dans le vaisseau spatial, était tombée dans les bras de l'Irlandais, comme si ses forces lui avaient soudainement fait défaut. Mais des cris rauques sortaient de ses lèvres, ses membres tremblaient, ses yeux manifestaient toujours une terreur vive et de temps en temps ils brillaient étrangement.
L'ingénieur écarta les dents et lui versa dans la gorge un sédatif mélangé à une dose d'opium. Puis, peu à peu, les cris cessèrent, les tremblements devinrent moins forts ; puis il ferma les yeux et tomba dans un profond sommeil.
On l'étendit sur un matelas, et par plus grande précaution les deux lui emprisonnèrent les jambes, craignant que, pris d'un délire, il ne se précipitât dans l'océan, et ils le portèrent à la proue, pour l'avoir toujours sous les yeux. .
"Quel est?"
"La foudre pourrait nous frapper et faire éclater nos ballons."
"C'est évité."
"De quelle manière? Avez-vous planté des paratonnerres sur vos ballons ? »
« Non, mais il suffit de s'élever au-dessus des nuages ​​: une opération qui serait très facile, avec le lest que nous possédons, mais qui n'est pas nécessaire, puisque nos ballons peuvent rapidement s'élever à une grande hauteur. Les nuages ​​se rassemblent rarement au-dessus de mille ou quinze cents mètres.
"Alors nous assisterions à une pluie venant d'en haut."
"Avec accompagnement, de la foudre, du tonnerre et des décharges électriques, mais sans danger pour nous."
« Ça ne me dérangerait pas de voir un tel spectacle. Le baromètre indique-t-il un changement ? »
« Depuis hier soir, O'Donnell. Mais revenant au monstre qui a failli nous entraîner dans l'océan, avez-vous remarqué que notre ancre s'était brisée ?
"De la pieuvre géante?"
"Sans aucun doute. Il devait avoir une taille énorme.
« Il devait peser au moins deux mille kilogrammes, monsieur Kelly. Je n'ai jamais vu un monstre comme ça, ou plus laid que ça. Si tu avais vu quels yeux ! J'ai cru que j'étais captivé et je suis tombé dans sa bouche. Aurait-il pu confondre notre ancre avec du poisson ?
"Il est probable".
"Ces céphalopodes sont-ils communs?"
« Au contraire, ils sont très rares et rarement rencontrés. Leur existence a longtemps été remise en question : mais les scientifiques ont dû abandonner, après que le vapeur Alecto en ait rencontré un monstrueux près des îles Canaries, prenant possession d'un tentacule, qui est encore conservé, je crois, à Santa Croce di Tenerife. ”
« Dans un ouvrage de Sonini, j'ai lu que certains ont des dimensions telles qu'ils embrassent un vaisseau. Est-ce vrai?"
« J'en doute fort, O'Donnell, bien que les légendes nordiques parlent d'immenses monstres. Olaus Magnus, évêque d'Upsala, prétend avoir vu, au XVIe siècle, un monstre si énorme qu'il mesurait un mille de long et qu'il ressemblait plus à une île qu'à un poisson : un autre prélat scandinave écrivit aussi qu'il s'était trompé sur un autre monstre pour un rocher et d'avoir élevé un autel au-dessus, célébrant la messe, sans que cet énorme poulpe, ou cétacé, n'y plonge. Pontoppidan affirme qu'un de ces monstres était assez grand pour être manoeuvré par pas moins qu'un régiment de cavalerie !
"Diable! Était-ce un terrain de parade ?
« Les scientifiques ont nié l'existence de ces krakens colossaux : c'est ainsi que les appelaient les pieuvres nordiques. Pline, l'historien et naturaliste romain, mentionne un monstre pris sur les côtes d'Espagne en son temps et qui pesait trois cent cinquante kilogrammes, avec des bras de dix mètres de long et une tête grosse comme un tonneau ; tandis que celui que j'ai vu de l'équipage de l'Alecto en 1801 avait un corps de cinq à six mètres de long et un poids d'environ deux mille kilogrammes.
"Beaucoup d'autres ont été vus, mais de plus petite taille. Dans les îles de l'océan Pacifique, en particulier à Hawaï, on en capture beaucoup qui ont un corps de deux mètres de long.
« Est-ce que celui qui s'accrochait à notre ancre nous aurait traînés sous l'eau ?
« S'il avait un poids de deux mille kilogrammes, il aurait pu nous déposer. Heureusement que nous avons des haches, et nous aurions coupé la corde sans effort, abandonnant l'ancre. Pour! Un vaisseau! Regarde là-bas vers le nord."
L'Irlandais regarda dans la direction indiquée, et là où l'océan semblait se confondre avec l'horizon, il vit un gros point noir, surmonté de deux panaches de fumée. Il semblait se diriger vers l'ouest.
"Ce sera un paquebot européen allant en Amérique", a déclaré l'ingénieur.
« Tu vas vers nous ? »
"Il est probable. La rencontre d'un ballon au milieu de l'océan est une chose jamais vue auparavant, et l'équipage croira peut-être que nous sommes des misérables conduits ici contre notre gré."
"Il me semble qu'il a changé de cap, monsieur Kelly", dit l'Irlandais, qui avait pris une lunette et l'avait braquée sur le paquebot. "Ça ne me dérangerait pas d'avoir un verre de Bordeaux sur ce bois."
"Malheureusement, nous ne pouvons pas descendre, O'Donnell", a déclaré l'ingénieur. « Il faudrait ouvrir les vannes et laisser s'échapper une certaine quantité de gaz ; et cela nous est trop précieux.
Le paquebot, qui avait dû apercevoir le vaisseau aérien, qui planait dans une atmosphère très pure, avait immédiatement modifié sa route et s'était dirigé vers les aéronautes pour leur venir en aide. Nul doute que son équipage a cru qu'ils avaient été emportés par un ouragan et s'est précipité pour les récupérer.
« Nous en profiterons pour donner des nouvelles à nos amis d'Amérique », dit l'ingénieur en arrachant quelques bouts de papier de son petit livre et en le recouvrant d'une écriture épaisse.
Le bateau à vapeur zoomait visiblement. C'était un de ces superbes paquebots qui vont des côtes d'Europe à l'Amérique et vice versa, effectuant le trajet en une dizaine de jours voire moins.
Il mesurait près de cent mètres de long, portait quatre mâts et deux cheminées, qui crachaient des torrents de fumée mêlée de scories. Le pont était rempli de passagers, qui suivaient anxieusement la course du ballon. Leurs cris, vu le calme qui régnait sur l'océan, parvenaient distinctement aux oreilles des aéronautes.
Au bout d'une demi-heure le steamer, qui voguait vers l'ouest, était presque sous le Washington, trois cents voix s'élevèrent, criant : « Descendez ! Descendez!"
L'ingénieur se pencha sur la proue du navire, agitant le drapeau des états de l'union et criant :
"Bon voyage! Allons en Europe !"
Ils l'ont entendu. Un immense « hourra » s'éleva du transatlantique, et ces trois cents passagers se mirent à agiter leurs mouchoirs, tandis que le capitaine fit trois fois baisser le drapeau en signe de salut.
"Voulez-vous de l'aide?" demanda le commandant en mettant l'embouchure.
« Merci, monsieur, » répondit l'ingénieur : « nous avons ce qu'il vous faut. Veuillez prendre soin de mon courrier."
Il avait enveloppé les lettres dans un étui en toile puis les avait refermées dans une boîte en fer-blanc. Il jeta le colis, qui tomba à vingt toises du steamer dans la mer.
Une embarcation de sauvetage a été descendue de la grue portuaire avec deux marins, qui ont saisi la boîte et sont revenus à bord.
"Bon voyage!" criaient les passagers entassés sur le pont.
"Merci, messieurs", répondit l'ingénieur profondément ému.
Puis, tandis qu'un nouveau "hourra" plus redoutable saluait l'intrépide, le paquebot reprenait sa route, filant vers l'ouest. Pendant quelques minutes, on vit les passagers agiter avec enthousiasme leurs mouchoirs et entendre leurs cris, puis, le ballon ayant repris sa marche ascendante grâce à la dilatation de l'hydrogène, le paquebot diminua rapidement, et toutes ces voix se changèrent en un chuchotement lointain.
« Où va aller ce bateau à vapeur ? » demanda O'Donnell qui n'était pas moins ému que l'ingénieur.
"Probablement à Boston", a répondu Kelly. "Du moins, je le suppose d'après sa direction ou notre intersection à ces latitudes."
« Je vous avoue, Monsieur Kelly, que j'ai ressenti une forte émotion dans cette rencontre. Il me semblait que j'avais trouvé un coin d'Amérique ou d'Europe.
"Je te crois, O'Donnell"
Cependant l'aérostat continuait de monter, l'air s'échauffait : il dépassa d'abord mille mètres, puis deux mille : mais quand il atteignit deux mille cinquante, il s'arrêta.
L'ingénieur, qui semblait en proie à une certaine agitation et qui ne quittait pas le baromètre des yeux, fronça plusieurs fois les sourcils et réprima un soupir. La portance du Washington commençait à diminuer et il n'atteignait plus la grande élévation qu'il avait auparavant.
Le gaz s'échappait par les pores de la soie pourtant tissée avec le plus grand soin. Si le grand courant était resté aussi stable qu'au premier jour, les poussant vers l'Europe, l'ingénieur ne se serait pas inquiété, ayant encore quatre cents mètres cubes d'hydrogène stockés dans les cylindres et environ sept cents kilogrammes de lest à jeter ; mais maintenant que le ballon était entraîné vers l'équateur, pour être ensuite peut-être refoulé vers les côtes américaines par les alizés, ou vers l'Atlantique Sud, il en était autrement, et cette grande traversée commençait à devenir très problématique.
Cependant l'aérostat continuait de monter, l'air s'échauffait : il dépassa d'abord mille mètres, puis deux mille : mais quand il atteignit deux mille cinquante, il s'arrêta.
L'ingénieur, qui semblait en proie à une certaine agitation et qui ne quittait pas le baromètre des yeux, fronça plusieurs fois les sourcils et réprima un soupir. La portance du Washington commençait à diminuer et il n'atteignait plus la grande élévation qu'il avait auparavant.
Le gaz s'échappait par les pores de la soie pourtant tissée avec le plus grand soin. Si le grand courant était resté aussi stable qu'au premier jour, les poussant vers l'Europe, l'ingénieur ne se serait pas inquiété, ayant encore quatre cents mètres cubes d'hydrogène stockés dans les cylindres et environ sept cents kilogrammes de lest à jeter ; mais maintenant que le ballon était entraîné vers l'équateur, pour être ensuite peut-être refoulé vers les côtes américaines par les alizés, ou vers l'Atlantique Sud, il en était autrement, et cette grande traversée commençait à devenir très problématique.
Le soleil étant très chaud, O'Donnell jeta un auvent sur le bateau, pour abriter le nègre, qui continua à dormir profondément.
A midi, le mécanicien fait le point et constate que l'aérostat est à 36° 7' lat. nord et à 32° 5' de long. Ouest.
"Où sommes-nous?" O'Donnell a demandé.
"Sur les parallèles de la Virginie", a répondu Kelly.
« Sommes-nous descendus jusqu'ici ?
"Malheureusement."
« À quelle distance de la côte américaine ?
« A 1250 milles, en ligne droite : mais il faut tenir compte de la courbe rentrante que décrit le continent du Cap de la Nouvelle-Écosse au Cap Hatteras.
"Et de l'île bretonne !"
"En ligne droite, ils sont distants de 800 miles.
« Nous avons parcouru un long chemin. Monsieur Kelly, dans un peu plus de deux jours.
« Je ne dis pas non. O'Donnell. Malheureusement, cette marche rapide ne nous a pas rapprochés de l'Europe, au contraire, elle nous en a éloignés"
« Si le ballon suivait notre parallèle sans dévier, où finirait-il ?
"Près du détroit de Gibraltar."
"Est-ce qu'il entrerait alors en Méditerranée ?"
« Oui : mais au contraire le vent continue de nous pousser vers le sud-est et va donc nous emmener vers les côtes d'Afrique.
«Eh bien, nous tomberons en Afrique au lieu de l'Europe. Nous aurons traversé l'Atlantique de toute façon.
« C'est vrai : mais nous pouvons tomber sur une côte déserte ou au milieu de quelque tribu de sauvages.
"Belle opportunité de nous faire croire enfants du ciel et d'être nommés cheikhs d'une grande tribu."
"Ta gueule!"
"Ce qui se produit?"
"Simon se réveille."



 

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